Molti di voi mi scrivono, raccontandomi la loro frustrazione dopo anni di ricerca, di una diagnosi chiara e di una cura definitiva. Mi parlano del continuo passaggio da un sistema riabilitativo all’altro, senza riuscire a trovare la soluzione che finalmente faccia la differenza. Questo, purtroppo, è un percorso che molti conoscono troppo bene, e so quanto possa essere demoralizzante.

La difficoltà di trovare una risposta unica e definitiva è legata a un principio fondamentale: ogni persona è diversa. Non esistono due storie uguali, e le nostre necessità, esperienze e reazioni sono uniche. Questo è ciò che rende tanto complesso trovare un’unica soluzione che vada bene per tutti. Non c’è un trattamento che funzioni in modo identico per ciascuno, perché siamo individui con storie e condizioni diverse. E questo, sebbene possa sembrare una sfida, è anche la chiave per il nostro benessere.

Perché ogni percorso è diverso

Quando ci troviamo a cercare aiuto, è naturale voler trovare una risposta definitiva. Ma la realtà è che il nostro corpo e la nostra mente sono complicati e in continua evoluzione. Ogni trattamento, ogni approccio, ha bisogno di essere calibrato sulla base di chi siamo. Ecco perché, a volte, è necessario un lungo percorso di tentativi, aggiustamenti e adattamenti. Non è una battaglia facile, ma è una battaglia che vale la pena combattere. Ogni piccolo passo avanti è un progresso che ci avvicina alla soluzione giusta.

Il silenzio delle istituzioni è sconcertante: interrogazioni parlamentari sono rimaste senza risposta, eppure i dati sulla malocclusione e le sue conseguenze sono ben noti. Invece di adottare politiche preventive e risolutive, il sistema sanitario pubblico continua a ignorare i rischi di questa patologia, costringendo i cittadini a fare i conti con malattie iatrogene e un crescente spreco di risorse.

La realtà è che l’accesso alle cure adeguate non dovrebbe dipendere dalla disponibilità economica di ciascuno, ma purtroppo il sistema attuale sembra favorire chi ha i mezzi, lasciando indietro chi non può permettersi soluzioni costose o l’accesso a trattamenti all’avanguardia.

Questa è una delle ingiustizie più gravi che stiamo affrontando. La salute è un diritto fondamentale e non dovrebbe essere legata alla capacità di spesa. Quante persone, purtroppo, sono costrette a rimanere senza le cure necessarie, solo perché non possono permettersi di cercare aiuto al di fuori del sistema? Eppure, il diritto alla salute> dovrebbe essere universale, equo e accessibile a tutti.

Per tanto lo scopo di Arianuova era ispirato da un “sogno” forse “utopico” di poter costituire un centro pubblico di diagnosi e cura della DCCM in Italia. Se tutto ciò non è mai avvenuto non è certo per delle nostre mancanze, come è del tutto evidente.

Oggi ci troviamo a vivere in una società dove la superficialità, l’egoismo e l’indifferenza sembrano essere fattori determinanti nel progressivo incivilimento del nostro mondo. Viviamo sotto un inganno mentale, sensoriale e materiale che ci impedisce di guardare in profondità e di riconoscere le vere esigenze di ciascuno di noi. È facile sentirsi persi in un sistema che sembra sempre più disinteressato alle necessità umane e che favorisce logiche economiche, anziché quelle sociali e umane.

In questi anni, come “Arianuova”, ci siamo sempre opposti a questa tendenza. Abbiamo cercato di fare la differenza, unendo le forze con altre dieci associazioni per promuovere iniziative che potessero sensibilizzare l’opinione pubblica, partendo proprio dalle problematiche sanitarie che viviamo sulla nostra pelle. Un esempio di questo impegno è il progetto “Salute al Primo Posto” che, come riportato in questo articolo, ha avuto lo scopo di sensibilizzare e informare riguardo alle difficoltà che affrontiamo quotidianamente.

Purtroppo, quello che sta accadendo oggi nel campo della sanità, con l’aziendalizzazione e l’autonomia regionale, rischia di compromettere irrimediabilmente ogni residua speranza di cambiamento. Le politiche che si stanno adottando sembrano allontanarsi sempre di più dai bisogni concreti delle persone, lasciando troppe persone indietro. Eppure, è proprio in questi momenti di difficoltà che dobbiamo trovare la forza di resistere, di unire le nostre voci e di lottare per un sistema che ponga al centro l’individuo e non il profitto.

La battaglia per una sanità più giusta e accessibile è ancora lunga, ma insieme possiamo fare la differenza. Non dobbiamo mai perdere la speranza e, soprattutto, non dobbiamo mai smettere di lottare per ciò che è giusto. La nostra salute è un diritto, non un privilegio, e tutti noi meritiamo un sistema che rispetti questo principio. Il cambiamento non avverrà da solo, ma è nella nostra forza collettiva che possiamo davvero fare la differenza.

Una riflessione finale:

Quando ci troviamo di fronte a un bivio, a volte ci sembra più facile prendere la strada in discesa, quella che sembra portarci più rapidamente alla fine. Ma come ci ricorda Tiziano Terzani:

“Quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, ti tiene all’erta.” -la fine è il mio inizio.-

Questo ci insegna che la strada in salita, seppur difficile, è quella che ci porta lontano, quella che ci fa crescere e ci mantiene vigili. Scegliere la via più facile, quella che sembra offrirci una soluzione rapida, potrebbe non portarci al posto giusto. È la sfida, la difficoltà, che ci dà il vero valore del cambiamento.

In questo cammino, non arrendiamoci mai. Ogni passo in salita è un passo verso una vita migliore, una speranza più grande.

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