Sanità, dalla cura al profitto: il declino del Servizio Sanitario Nazionale

Negli ultimi venti anni, la sanità pubblica italiana ha subito una trasformazione profonda e dolorosa, che l’ha allontanata dal suo principio fondante: l’universalità dell’assistenza. La svolta politica arrivò con il decreto legislativo n. 502 del dicembre 1992, Il decreto che ha introdotto elementi di pesante rottura rispetto ai principi fondamentali ed ispiratori del servizio sanitario nazionale, in tre direzioni: aziendalizzazione, regionalizzazione, privatizzazione. Che ha trasformato il Servizio Sanitario Nazionale universalistico, in un sistema di imprese sanitarie regionali la cui missione aziendale è il fatturato, dove il profitto diventa l’”anima” dei sistemi di cura. “Aziende” (che pur essendo sanitarie) sono affidate a manager, spesso incapaci e senza scrupoli, nominati dalla politica.

L’illusione dei LEA e l’impossibilità di controllo

In seguito nel tentativo di correggere simili deformazioni e storture con il Dpcm del 29 novembre 2001 sono stati introdotti i LEA (Livelli Essenziali Assistenza) ma possiamo dire che “la toppa è stata peggiore del buco” in quanto la politica ha sempre disatteso tale normativa, impedendo la costituzione dei previsti organismi di controllo sull’operato dei manager della sanità (Commissione Parlamentare sul ssn, Consiglio dei sindaci e Comitati consultivi associazioni di malati).

Troppi vuoti di Memoria

Molte regioni del nord, inoltre, hanno introdotto (nei loro piani sanitari regionali) misure discriminatorie come l’obbligo di residenza per accedere alle cure, in palese violazione della Costituzione Italiana, che stabilisce il diritto alla salute come un diritto universale, indipendente dal luogo di residenza. Questi ostacoli hanno finito per colpire proprio i più deboli, i malati gravi, che si sono trovati a fare i conti con un sistema che non risponde alle loro necessità, ignorando spesso le loro richieste di aiuto. Ricordare tutto questo non è solo necessario per fare chiarezza, dinnanzi a troppi vuoti di memoria. Ma è utile a comprendere cosa avviene, oggi, nella sanità pubblica, pagata da noi cittadini, a danno della prevenzione e della nostra salute. Ma è anche un modo per ricostituire una sensibilità nuova e un patto solidaristico, anche tra le associazioni di malati, per giungere ad una politica radicale che metta al centro il diritto alla salute, in una sua visione unitaria – fisica e psichica, individuale e collettiva –.

La triste realtà della sanità in Umbria: tra “Sanitopoli” e “Concorsopoli”

Negli ultimi venti anni la sanità della regione Umbria è stata più volte oggetto di inchieste giudiziarie che hanno portato, già in passato, alla condanna per “falso” dei vertici della sanità regionale, Sanitopoli, prima, e ora Concorsopoli, con 32 imputati e un processo ancora da celebrare. L’accusa più pesante è di associazione a delinquere, insieme ad un altra decina di capi di imputazione per aver alterato l’esito dei concorsi nella sanità. Che rivela l’esistenza di un “sistema” pervasivo, definito come “cupola ospedaliera”, dove avviene di tutto. Un sistema che sicuramente ha penalizzato la salute di molti ammalati gravi, in quanto le loro proteste/appelli e richieste rimangono inascoltate e prive di una risposta.

Dalla lotta alle malattie, alla “guerra” contro i malati

Ma il problema non riguarda solo la gestione delle risorse o le inchieste giudiziarie. In Umbria, i malati sono costretti a combattere una vera e propria “guerra” contro la burocrazia e l’indifferenza delle istituzioni. Le denunce di numerosi malati, che da anni chiedono attenzione e supporto, vengono sistematicamente ignorate, e chi cerca di far valere i propri diritti viene trattato come un “fastidio”. Invece di lavorare per garantire cure adeguate e tempestive, le istituzioni sembrano impegnate a mettere a tacere le voci di chi protesta, utilizzando ogni mezzo per silenziare il dissenso.

Questa politica, che si fonda sull’indifferenza e la repressione, è un tradimento del patto solidaristico che dovrebbe legare una società. La sanità dovrebbe essere un luogo dove la solidarietà è al centro, dove la comunità si prende cura dei più deboli, dei malati, dei vulnerabili. Ma oggi, purtroppo, sembra che la sanità sia diventata un luogo di sfruttamento, dove chi può permetterselo riceve cure di qualità, mentre gli altri sono lasciati nell’ombra.

La necessità di un nuovo patto per la salute

Per affrontare questa crisi, è fondamentale ricostruire un nuovo patto per la salute, che rimetta al centro il diritto alla salute, non come un favore, ma come un diritto universale sancito dalla Costituzione. È urgente superare il sistema delle “aziende sanitarie” e restituire alla sanità la sua vocazione di servizio pubblico, al di sopra degli interessi economici. Inoltre, è essenziale rinnovare e rafforzare i meccanismi di controllo, garantendo che i cittadini possano davvero verificare l’operato della politica e dei manager della sanità.

In Umbria, ma anche a livello nazionale, è il momento di fare un passo indietro e di riflettere su cosa è diventata la sanità. Una riflessione che non può essere rimandata, per non lasciare che altri scandali e ingiustizie si ripetano, a danno della salute di tutti. Solo attraverso un’azione politica radicale e una nuova sensibilità solidale, che coinvolga anche le associazioni di malati, potremo restituire alla sanità la sua funzione primaria: prendersi cura delle persone, mettendo la salute al primo posto, senza distinzioni.

In questi ultimi venti anni hanno trasformato la sanità in un “canaglio”. La svolta politica arrivò con il decreto legislativo n. 502 del dicembre 1992, Il decreto che ha introdotto elementi di pesante rottura rispetto ai principi fondamentali ed ispiratori del servizio sanitario nazionale, in tre direzioni: aziendalizzazione, regionalizzazione, privatizzazione. Che ha trasformato il Servizio Sanitario Nazionale universalistico, in un sistema di imprese sanitarie regionali la cui missione aziendale è il fatturato, dove il profitto diventa l’”anima” dei sistemi di cura. “Aziende” (che pur essendo sanitarie) sono affidate a manager, spesso incapaci e senza scrupoli, nominati dalla politica. In seguito nel tentativo di correggere simili deformazioni e storture con il Dpcm del 29 novembre 2001 sono stati introdotti i LEA (Livelli Essenziali Assistenza) ma possiamo dire che “la toppa è stata peggiore del buco” in quanto la politica ha sempre disatteso tale normativa, impedendo la costituzione dei previsti organismi di controllo sull’operato dei manager della sanità (Commissione Parlamentare sul ssn, Consiglio dei sindaci e Comitati consultivi associazioni di malati) e addirittura molte regioni del nord hanno introdotto (nei loro piani sanitari regionali) l’obbligo della residenza, per accedere alle cure, norme che risultano essere una grave violazione al diritto alla salute, stabilito dalla Costituzione Italiana. Ricordare tutto questo non è solo necessario per fare chiarezza, dinnanzi a troppi vuoti di memoria. Ma è utile a comprendere cosa avviene, oggi, nella sanità pubblica, pagata da noi cittadini, a danno della prevenzione e della nostra salute. Ma è anche un modo per ricostituire una sensibilità nuova e un patto solidaristico, anche tra le associazioni di malati, per giungere ad una politica radicale che metta al centro il diritto alla salute, in una sua visione unitaria – fisica e psichica, individuale e collettiva –.

DCCM Italia

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